Interpretare le norme non è sempre facile
di Paola Raffaella Canziani
Avvocato
Che l’intento del legislatore del 2017 sia stato quello di agevolare la classe medica, quantomeno sotto il profilo penalistico, migliorando le norme contenute nel previgente decreto Balduzzi, non implica necessariamente il conseguimento del risultato.
A fronte di due sentenze della Corte di cassazione di segnale opposto ( Tarabori e Cavazza ), alle Sezioni Unite della stessa Corte è stato sottoposto il quesito di definire l’ambito applicativo della condizione di non punibilità prevista dall’art. 590 – sexies codice penale per i reati di morte o lesioni personali commessi nell’esercizio della professione sanitaria.
L’art. 3 del d.l. Balduzzi escludeva la responsabilità penale per colpa lieve, senza distinzione tra negligenza – imperizia – imprudenza, nei casi in cui l’operatore sanitario si fosse attenuto alle linee guida e alle buone pratiche cliniche accreditate presso la comunità scientifica.
Di diverso tenore l’art. 6 della legge Gelli-Bianco che ha invece puntato esclusivamente sul profilo dell’imperizia per esimere da responsabilità nei casi di lesioni colpose ( art. 590 c.p. ) o omicidio colposo ( art. 589 ) gli operatori sanitari osservanti delle raccomandazioni di cui alle linee guida emanate da società scientifiche, organismi e associazioni accreditate ovvero alle buone pratiche clinico-assistenziali adeguate al caso clinico concreto.
L’interpretazione delle sezioni unite della Corte ( sentenza n. 8770/18 del 22/2/18 ) ha fornito ai giudici di merito le indicazioni indispensabili per individuare e perimetrare le condotte ritenute punibili. La valutazione del grado di colpa, espresso dal d.l. Balduzzi che esimeva dal rimprovero la colpa lieve, e la rivalorizzazione dei principi espressi dall’art. 2236 del codice civile ( “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave” ) hanno consentito alle sezioni unite di elaborare delle vere e proprie ‘linee guida’ così sintetizzate:
risponde per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio dell’attività medico – chirurgica l’esercente la professione sanitaria quando l’evento si è verificato:
- per colpa anche lieve da negligenza o imprudenza;
- per colpa anche lieve da imperizia quando il caso clinico non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali;
- per colpa anche lieve da imperizia se non sono state individuate le linee guida o le buone pratiche clinico-assistenziali adeguate alla specificità del caso;
- per colpa grave da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni o buone pratiche clinico assistenziali adeguate, considerato il grado di rischio da gestitre e le speciali difficoltà dell’atto clinico.
In sintesi, sarà assolto l’operatore sanitario che avrà dato prova processuale di avere individuato e attuato le linee guida corrette ed adeguate al caso, a meno che abbia ritenuto di doversene discostare per motivi validi e comprovati ( ad esempio nell’ipotesi di patologie concomitanti ), di avere affrontato la risoluzione di problemi di speciale difficoltà, di avere seguito attentamente e scrupolosamente l’evoluzione clinica del paziente, e, nonostante tutto, l’evento lesivo o mortale , causalmente riconducibile al suo comportamento, si sia ugualmente verificato.
Secondo quanto affermato dalla Corte, per usufruire dell’applicazione della condizione di non punibilità, il comportamento oggetto di esame dovrà essere stato rispettoso delle linee guida con uno scostamento marginale nella loro esecuzione tale da avere cagionato l’evento: la colpa per imperizia deve quindi essere lieve.
In tale modo i giudici hanno coordinato la preesistente normativa con quella attuale, spiegando, in modo costituzionalmente orientato, il significato e l’applicabilità della condizione di non punibilità prevista dalla legge Gelli Bianco.